Note sul pluralismo scolastico

Pubblicato su Libertà di educazione, n.3 (gen.-feb. 1999)

La Chiesa dispone della gioia.

Di tutta la parte di gioia riservata a questo triste mondo.

Quello che avete fatto contro la Chiesa l’avete fatto contro la gioia.

(Bernanos, Diario di un curato di campagna)


1. una comoda mistificazione

Le scuole private sono le scuole dei ricchi. Quindi non hanno bisogno di aiuti.

Alcune lo sono per scelta. Hanno come fine il profitto: e tali scuole non occorre aiutarle, nella misura in cui il loro non è un servizio pubblico.

Altre lo sono per necessità. Si propongono come fine un'educazione impostata secondo certi valori, e tali scuole vanno aiutate, nella misura in cui svolgono un servizio pubblico.


Perché “per necessita”?

Perché non hanno altra fonte di sovvenzionamento se non le rette, che proprio per tale motivo sono forzatamente elevate.

È invece una ingiustizia che genitori che vogliono educare i loro figli in modo coerente e non abbiano grandi risorse economiche debbano essere costretti a mandare i figli alla scuola statale perché lo stato non garantisce loro il diritto (sancito dall’ONU, Dichiarazione dei diritti dell’uomo) di essere davvero liberi nella scelta .


Ma non potrebbero provare a diminuire le rette, per aumentare così l'utenza?

Se fosse così facile ci avrebbero sicuramente pensato. Invece molte scuole private hanno dovuto chiudere: basti pensare che il numero di studenti delle private è passato dal 20% dell'85 al 6% del '97.


D’accordo. Ma come si possono distinguere le une dalle altre?

Un sistema molto semplice c'è: non sono a scopo di lucro quelle scuole che accetteranno di diminuire le rette contestualmente alla fruizione di fondi erogati dallo stato; diventando cosi sempre più "popolari" (=fruibili anche da chi non è ricco).


2. troppo stato non fa bene alla scuola

Va bene. Però prima di pensare alle private bisogna che lo stato pensi alle sue scuole, che non vanno poi così bene.

Per impostare una terapia adeguata bisogna fare una diagnosi giusta. Bisogna quindi prima di tutto chiedersi: perché la scuola statale non va bene? 1) Perché il sistema scolastico statale ha il tipico difetto dei sistemi statalistico-monopolistici; 2) negli ultimi anni la situazione si è aggravata anche per la chiusura di molte scuole private (o per la diminuzione dei loro iscritti).


Cosa c’entra il monopolio statale?

Ovunque non ci sia una logica di responsabilità la gestione delle risorse presenta delle carenze talora anche molto gravi: un dipendente statale, anche di alto grado, che abbia una inamovibilità assicurata e uno stipendio totalmente indipendente dai risultati della sua gestione, facilmente non si impegnerà al meglio. Per questo l’economia dei paesi comunisti non reggeva neanche lontanamente con l’economia di mercato. E anche per questo il comunismo è crollato miseramente, lasciando gli strascichi disastrosi che tutti vediamo (ad esempio in Russia o in Albania).


E allora?

Allora la scuola statale viene precisamente gestita con criteri statalistico-monopolistici: di qui la assoluta incertezza che risorse ad essa destinate siano spese in modo intelligente e proficuo: tanto paga lo stato!

In alcune regioni di meno, in altre di più. Ma si veda ad esempio come vengono spesi i soldi per i programmi dei computer: vecchi e obsoleti, vengono pagati cifre decisamente gonfiate. Tanto paga lo stato! Si veda gli scempi che delle scuole statali i Presidi (compiacente il Ministro) hanno lasciato fare durante le autogestioni di questi ultimi anni: milioni e milioni di soldi buttati via. Tanto paga lo stato! Si veda ancora il numero di commissioni inutili che si formano nei Collegi Docenti, per svolgere improbabili mansioni, secondo un monte-ore improbabile e comunque non verificabile in termini di resa effettiva. Tanto paga lo stato!

Ma pensiamo anche alla riforma delle elementari o al prolungamento dell’obbligo a 15 anni (fuori di ogni riforma globale): scelte fatte per motivi spudoratamente sindacali, per non dover licenziare chi sarebbe altrimenti inutile. Sprecando soldi dello stato. Tanto paga lo stato!


Questo sarà pure un motivo di spreco delle risorse, ma che cosa c’entra con le scuole private?

Una logica di sana competizione spingerebbe Presidi e Docenti a un utilizzo più razionale delle risorse. Come diceva più di 50 anni fa, con grande lucidità, un pensatore lontano dalla Chiesa come il Salvemini, sostenendo che la concorrenza delle scuole non statali fa bene alle statali.


Il secondo motivo qual è?

È che è interesse della scuola statale tenere viva la concorrenza anche per un altro motivo: stante che la scuola è una attività economicamente “a perdere”, il numero di studenti iscritti alle private alleggerisce il peso che grava sulle finanze statali. Se il 40% degli studenti fosse alle private lo stato dovrebbe spendere non più 94, ma 60 (se fossero il 20% potrebbe spendere 80, e così via). Il che significa che potrebbe, mantenendo invariata la cifra dedicata alla scuola riversare sulla “sua” scuola nuove risorse per migliorarne la qualità.


Dunque che esistano scuole private è un vantaggio per lo stato?

Esattamente. Lo conferma il fatto che la chiusura di molte scuole private (o per la diminuzione dei loro iscritti) abbia ristretto i fondi che lo stato può stanziare per ogni "suo" studente. Si veda di quanto è aumentato il numero di alunni per classe in questi ultimi 10/15 anni, in concomitanza con la chiusura delle scuole private.


Ma se lo stato deve finanziare le scuole private dovrebbe comunque togliere fondi alle sue scuole.

Non è detto che tale operazione non debba lasciare margini più che sostanziosi alla scuola statale: pur di avere una scuola statale alleggerita di una certa percentuale (poniamo del 10%) lo stato potrebbe contribuire a ciò almeno con una parte (poniamo con un 5%), tenendo per le sue scuole l’altra parte (nell’esempio fatto il 5%) risparmiata. Si pensi che la cifra stanziata quest’anno per le private è di soli 347 MLD, quando alla scuola statale vanno quasi 80.000 MLD.


3. la Costituzione??!

Comunque la Costituzione italiana parla chiaro: “senza oneri per lo Stato”. Quindi i soldi alle private non vanno dati.

Se si vanno a leggere i verbali della Assemblea Costituente si vede che il senso di quella frase, frutto di un compromesso tra cattolici e laici, non è “lo stato non deve finanziare le private”, bensì “lo stato può non finanziarle” (“non è tenuto a”). Ora non essere tenuti a fare qualcosa è diverso dal non poterla fare affatto.


E allora perché avrebbero messo lì quella frase?

Per chiarire che non a ogni scuola privata lo stato deve dei finanziamenti. Per evitare insomma di dover finanziare scuole aventi finalità di lucro o comunque non gestite in modo sufficientemente serio da costituire davvero un servizio pubblico.


4. siamo europei, per favore!

Parlate anche di Europa…

Certo: quasi tutte le forze della sinistra italiana (Rifondazione esclusa, nostalgica com’è dei bei tempi di Stalin; a proposito, prendete nota della esatta corrispondenza: massimo amore per Stalin = massimo odio per la libertà di educazione) apprezzano l’Europa. E si fanno un vanto di aver portato l’Italia in Europa. Allora perché non ci si paragona con le politiche scolastiche europee in fatto di libertà educativa?


Che cosa salterebbe fuori?

Che in Europa l’Italia è la Cenerentola della libertà. Basta vedere i dati concreti di come negli altri Paesi lo stato finanzi le scuole non statali, e in modo consistente.


Qualche esempio..

In Belgio la scuola non statale riceve il 100% di sovvenzionamenti statali quanto al funzionamento, il 100% quanto a stipendi degli insegnanti, e dal 60 al 70% quanto a interventi di ammodernamento, dando come controparte una garanzia sul numero minimo di alunni, sui programmi svolti e sul rispetto della legislazione linguistica vigente.

In Francia le scuole non statali hanno due tipologie (a contratto e associate). Anche lì, a patto di rispettare certe condizioni (in particolare lo svolgimento di programmi equipollenti a quelli statali) le scuole ricevono il 100% del costo dei docenti, e nel caso delle associate, il 100% delle spese di funzionamento.

In Gran Bretagna lo stato finanzia il 100% delle spese di funzionamento e degli stipendi, e l’85% delle spese per gli interventi di ammodernamento, ponendo come condizione l’assenza di tasse di iscrizione e un contratto specifico.

In Germania il contributo statale alle scuole non-statali è del 90% sia per il funzionamento sia per il personale.

C’è davvero di che vergognarsi per l’arretratezza del nostro sistema, che secondo dati dell’ONU, viene dopo la Costa d’Avorio.


Ma in Europa fanno tutto sul serio. Da noi invece le scuole private sono poco serie (promozioni assicurate, voti gonfiati)

Torniamo al discorso fatto prima: alcune scuole private sono poco serie per il loro stesso fine, che è il lucro (e allora abbiamo i diplomifici, che evidentemente non vanno aiutati, e che invece la politica del Ministero finisce col trattar meglio delle scuole cattoliche: pochi controlli, poche ispezioni); altre hanno un fine educativo: nella misura in cui quello è più chiaramente perseguito vengono meno fenomeni come quelli ricordati (voti alti e promozioni sicure). È comunque certo che una sicurezza economica solida, assicurabile con un finanziamento pubblico, porrebbe definitivamente al riparo dal (più o meno consapevole) ricorso a forme esasperate di ricerca di utenza.

Quindi: se vogliamo che le scuole private cambino, in meglio, la strada è sempre quella di immetterle in un circolo virtuoso (più sicurezza = più tranquillità = minor condizionamento dal problema di procacciarsi l’utenza)


5. monolitismo educativo?

Finora abbiamo visto aspetti economico-giuridici o comunque esteriori. Ma è intrinsecamente giusto che una scuola dia una sola visione della realtà? Non è meglio che un ragazzo si formi una sua idea sentendo “più campane”?

Questa obiezione non è neutra: presuppone un certo concetto di educazione (e di cultura). In ultima analisi contenutisticamente suppone che non possa esistere una verità assoluta, perciò totalizzante. E metodologicamente suppone che l’educazione sia assimilazione di concetti, in senso intellettualistico.


Cosa vuol dire che contenutisticamente suppone che non esista una verità assoluta?

Che da per scontato che Cristo non solo non sia vero, ma non possa essere vero. Se Cristo è vero infatti, se quell’Uomo era Dio, Egli è il Tutto. Se Lui è la Verità, non può essere una verità puramente intellettuale, un’idea accanto a altre idee. Se Lui è la Verità, se è davvero Dio, chiede tutto, per poter dare tutto. Chiede che la Sua proposta sia verificata come qualcosa di totalizzante, e non sia vivisezionata a tavolino in base a criteri che potrebbero andar bene solo nel caso si trattasse di una idea, per quanto interessante e geniale, ma puramente umana.

Se Cristo è tutto, chiede tutto, e chiede che l’educazione sia orientata a far scoprire tale verità. Lo stato deve essere laico, d’accordo, e non può presupporre che Cristo sia vero. Ma non può nemmeno presupporre, se davvero vuol essere laico, che Cristo non possa essere vero. Lasci dunque la libertà, per chi lo vuole, di sperimentare se la Sua proposta, che è totalizzante, sia vera[1].


Ma non lo può fare benissimo anche in una scuola dove uno sente molte diverse idee, aumentando così il suo senso critico?

Sarebbe così se, metodologicamente, la verità si desse come un’idea, dialettizzabile intellettualisticamente: mentre la Verità si fa incontrare come una vita, come una proposta di vita, che richiede non una astratta dialettizzazione, ma una verifica esistenziale. Il vero senso critico è nel paragone della propria vita con la proposta di senso. Finché si resta a livello di idee si attua comunque un ostracismo, delittuoso, contro la possibilità di verificare se davvero la vita abbia un senso, se davvero Dio sia diventato un Uomo.


Ma dal momento che la nostra società è inevitabilmente pluralistica, non si abituano male i ragazzi, mettendoli come sotto una campana di vetro che altera la loro effettiva percezione della realtà storica attuale?

Dipende da come viene impostata una certa scuola. Di sicuro la possibilità di sperimentare il carattere totalizzante della fede cristiana non è un fattore di accecamento della ragione e di chiusura sulla realtà esistente. Si pensi solo alla dimensione missionaria e caritativa che sono parte integrante di una educazione cristiana, che anzi aiutano al contatto con la diversità e alla condivisione del bisogno di tutti. Ma la stessa dimensione culturale autenticamente cristiana non si chiude alla conoscenza di ciò che non è cristiano: si pensi a quanto la cultura cristiana ha valorizzato della filosofia greca, e della letteratura classica, sorte in ambito pagano.

Il vero pericolo oggi è piuttosto una invadente e insidiosa “omologazione culturale” che appiattisce tutto a valori di consumistica superficialità.


Non c’è però da temere che mettano su delle scuole anche dei fanatici, pretendendo soldi statali?

Se ci vorranno essere delle scuole ispirate a unilaterale e accecante fanatismo (cristiano, mussulmano, “padano” o quant’altro), bisognerà verificare se esse rispondano al criterio di svolgere un servizio pubblico, che è tale solo se educa a un civile e responsabile inserimento in una convivenza pluralistica. I sussidi vanno dati solo a chi risponde a certi criteri, trasparentemente verificabili.

Comunque l’utenza stessa difficilmente premierà tali impostazioni, che si può prevedere, come avviene anche in Europa, resteranno del tutto marginali.


È giusto però che lo stato paghi con i soldi di tutti quella che è comunque una educazione “di parte”? È giusto che ci siano scuole che pretendono soldi statali per assumere solo personale esplicitamente “di parte”?

Il fatto è che una educazione che non sia “di parte” è solo una illusione. Nessuna educazione è neutra. L’alternativa allora non è tra una educazione “di parte” e una educazione “neutra”, ma tra una apparente, falsa, neutralità e una ipotesi educativa onestamente, limpidamente dichiarata.

Forse che insegnare che l'uomo deriva esclusivamente dalla scimmia, che l'uomo è solo un animale, che il suo pensiero consiste unicamente nell’attività del cervello, è neutro? Nella scuola statale c’è chi lo fa. Tanto è garantito che lo stato è neutro…

Forse che insegnare la liceità morale e la necessità igienica di avere rapporti pre- ed extra-matrimoniali è neutro? Nella scuola statale c’è chi lo fa. Tanto è garantito che lo stato è neutro…

Forse che insegnare che la Chiesa in tutta la sua storia non ha fatto altro che seminare violenze e sopraffazioni (inquisizione, crociate, colonizzazione) è neutro? Nella scuola statale c’è chi lo fa. Tanto è garantito che lo stato è neutro…


Chi garantisce però che il personale docente delle scuole non statali sia davvero competente e non sia scelto per motivi puramente ideologici?

Ma quanti docenti nelle scuole statali, da un lato, sono davvero stati selezionati in base a concorsi di merito? Di fatto la selezione dei docenti in base alla competenza è largamente minoritaria nelle statali, e lo stato si decide a bandire regolari concorsi solo in rare occasioni. Per lo più i docenti delle statali sono entrati in ruolo semplicemente con l’accumularsi di servizi prestati nello stato.

È d’altro lato interesse delle scuole non statali assumere del personale competente, perché l’utenza, costretta al pagamento di rette più elevate che nello stato, lo esige. A meno che, ancora una volta, non si tratti di quei “diplomifici” per i quali non stiamo chiedendo una sola lira.

Dovrebbe invece far pensare che i più accaniti nell’avversare le scuole non statali (e quindi un criterio serio di assunzione e di licenziabilità) siano quegli “eterni precari”, sulla cui competenza professionale è lecito avanzare più di un dubbio.


6. uno strano paradosso

Ma insomma se è tutto così chiaro, perché ci sono tante resistenze a una proposta che è in accordo la ragione, l’economia, il diritto, la pedagogia?

Rispondere non è facile. Anzitutto forse in Italia permane la paura che la Chiesa sia troppo forte. Forse ci sono eredità di anticlericalismo risorgimentale.


Ma come: oggi il Chiesa è stimata e rispettata.

Lo è quando fa da stampella al potere: quando funge da tappabuchi per l’inefficienza statale su questioni pratiche (assistenza ai drogati, ai profughi, ai barboni, insomma aiuto a chi sta male e non può sperare aiuto da altri); allora lì fa comodo. Sui valori comuni. Sui bisogni pratici. Accettata per alcune cose che fa, la Chiesa è impedita di giudicare. Può fare (alcune cose), non può vedere e pensare (né, soprattutto insegnare a vedere e pensare).

Provi infatti la Chiesa a richiedere di incidere con la sua visione della realtà, provi a dare un giudizio, a trasmettere la concezione che le viene dalla fede: ecco che cominciano le polemiche sull’invadenza della Chiesa.


Dunque è solo per anticlericalismo?

No. Non c’è solo un motivo ideologico, ma anche dei motivi pratici. Nella scuola statale troppi docenti sono stati immessi in ruolo senza aver passato un concorso, o con titoli conseguiti in modo poco dignitoso. Perciò c’è molta gente che avrebbe tutto da perdere se la scuola muovesse verso una logica di mercato. Ha da perdere il posto fisso assicurato, forse.


E non è un buon motivo per muoversi?

Certo: come in contrabbandieri di Napoli, che protestavano di non poter fare in santa pace il loro mestiere, o come certi evasori veneti che chiamavano a raccolta le camicie verdi contro la Guardia di Finanza.

Siamo seri: al centro della scuola deve stare lo studente. Tutto è in funzione della sua crescita. Non degli interessi sindacali e di bottega di gruppi parassitari. Già troppo la scuola ha sofferto di motivazioni estranee alla preoccupazione educativa.



7. come fare?


Allora che cosa sarebbe giusto fare?

È realistico immaginare un doppio livello di soluzione. Una soluzione a breve è costituita da un finanziamento diretto alle scuole non statali che svolgano un comprovato e documentabile servizio pubblico. In tale linea si starebbe muovendo il governo D’Alema, concedendo quelle briciole dei 347 MLD, ossia la boccata d’ossigeno per impedire l’ulteriore moria di altre scuole private.


Ma la soluzione definitiva?

Bisognerebbe avere il coraggio di porre la scure alla radice, affermando con nettezza il principio di sussidiarietà. Lo stato non dia più un soldo alle scuole, né private, né statali, ma dia un adeguato buono-scuola alla famiglie. Saranno poi le famiglie a scegliere dove spendere tale buono-scuola.


In tal modo non si rischia di sfasciare la scuola statale?

Di pericolo si tratta ovunque a morire è qualcosa di positivo. Se a morire è qualcosa di marcio, meglio è che muoia. Ora dobbiamo avere fiducia che l’utenza non si orienterà verso il peggio, ma verso il meglio. Viva dunque il meglio (statale o non statale), e perisca il peggio (statale o non statale): è la logica di una sana competizione, è la logica che ha consentito il progresso economico e culturale dell’Occidente. L’alternativa è restare a metà del guado tra l’Occidente e le repubbliche delle banane.


L’utenza però potrebbe scegliere non per il meglio (in assoluto), ma per il più conveniente…

Infatti per rendere davvero completa la riforma bisognerebbe contestualmente abolire il valore giuridico del titolo di studio: in questo modo si andrebbe a scuola solo per imparare, e non per ottenere un titolo. Così l’unica discriminante tra le scuole sarebbe la qualità dell’insegnamento, ossia l’unico giusto criterio per distinguere una scuola buona da una meno buona.


Doctor benacensis


In conclusione:

No all’arroganza di chi non ascolta le ragioni degli altri.

No all’ingessamento di un pachiderma burocentralistico,

funzionale solo al posto fisso dei docenti impreparati e ignoranti.

No all’imbroglio di chi spaccia per laicità

la difesa del proprio botteghino.

Non vogliamo la scuola dei ricchi,

vogliamo una scuola per tutti.

Non privilegi alle scuole cattoliche,

ma libertà per tutti.

LIBERTÀ DI EDUCAZIONE PER TUTTI

[1] Se esiste una verità assoluta, se si può sapere perché stiamo al mondo, perché possiamo starci con un senso, pur sapendo che siamo costretti a passare attraverso la morte, è un delitto ignorarla. Ma chi può escludere che esista? Chi può escludere che la penombra annunci la luce, piuttosto che il “nulla eterno”? Allora si lasci che chi vuole sperimentare, liberamente, una proposta che conduca a verificare come la vita ha un senso (buono) lo possa fare.